Il packaging nasce con uno scopo principale: proteggere e conservare il prodotto. Come abbiamo spesso raccontato in questo blog le confezioni sono però molto altro ancora: hanno a che fare con il marketing, con il valore del prodotto, con le abitudini dei consumatori, con l’immagine e la filosofia dell’azienda e, sempre di più, con la sostenibilità.
Guardando a tutte queste esigenze, la tecnologia nel corso di secoli e decenni ha permesso di trovare soluzioni sempre migliori… contribuendo così all’evoluzione del packaging!
Piccole e grandi invenzioni, nuovi materiali, nuovi metodi di produzione, nuovi bisogni della società e dell’ambiente: oggi vi mostriamo come tutto questo ha cambiato, generazione dopo generazione, confezioni e imballaggi dei prodotti più comuni – dalle bottiglie in vetro a quelle in plastica, dalle prime lattine al packaging flessibile!
Immagine: Sun Ladder [CC BY-SA 3.0]
Era la fine del Settecento e Napoleone Bonaparte aveva un problema: doveva trovare un modo per conservare meglio gli alimenti così da garantire le giuste scorte al suo esercito, e voleva farlo in maniera efficace ed economica. Per questo il generale francese decise di istituire un premio di 12mila franchi che doveva andare a chiunque avesse trovato la soluzione per una migliore conservazione del cibo.
Passarono 15 anni prima che qualcuno potesse riscuotere il premio: fu nel 1810 quando il cuoco francese Nicolas Appert inventò il cibo in scatola. L’idea era quella di far bollire gli alimenti e confezionarli ermeticamente in contenitori di vetro. Pochi anni dopo, l’inglese Durand brevettò un contenitore molto più resistente delle fragili bottiglie di vetro, più leggero e più economico: la scatoletta di latta. In Italia fu Francesco Cirio ad aprire la prima fabbrica di piselli in scatola nel 1856.
È curioso notare che solo dopo parecchi anni si scoprì perché, effettivamente, tutti questi metodi di conservazione funzionavano: si dovette aspettare lo scienziato francese Louis Pasteur osservasse e descrivesse il ruolo dei microorganismi nel deterioramento dei cibi!
Una scatola in latta contenente ostriche fresche, 1935 (Smithsonian)
Con il tempo le scatole e barattoli di latta migliorarono sia nelle tecniche di produzione che materiali, ma probabilmente l’innovazione più importante arrivo nel 1959: l’anno di nascita della prima lattina in alluminio (una lattina di birra, per la precisione)! L’alluminio è un materiale più leggero dello stagno, più economico, inodore, con una grande capacità di prevenire la perdita di aromi dei prodotti. Insomma, l’applicazione di questo materiale migliorò enormemente le caratteristiche di questo packaging, e la produzione di alluminio in Europa da quell’anno esplose.
Un’ultima curiosità. Nel 1962 un birrificio di Pittsburgh, negli Stati Uniti, decise di applicare un’altra piccola innovazione alla lattina in alluminio: quella che oggi è diventata l’iconica “linguetta” per facilitarne l’apertura. Nei sei mesi successivi le vendite del birrificio incrementarono del 400%!
Anche se il cartone era un materiale già usato da alcuni secoli in Cina, l’idea di farne un imballaggio venne solo in Occidente. A brevettare la scatola in cartone fu, nel 1817, un industriale inglese: Sir Malcolm Thornhill.
Le prime scatole di cartone erano utilizzate per trasportare le merci più diverse – dai gioielli ai bachi da seta – ma avevano un difetto: erano particolarmente fragili. La soluzione arrivò inaspettatamente e da tutt’altro ambito.
Nel 1856 una coppia di sarti inglesi brevettò infatti il cartone ondulato, usato per far mantenere la giusta forma ai loro cappelli. Il cartone ondulato è formato da due superfici piane in cartone che ne racchiudono una ondulata. Dopo qualche decennio si iniziò a capire che proprio il cartone ondulato era la soluzione perfetta per fare diventare le scatole di cartone più resistenti: in questo modo la scatola di cartone diventò anche un packaging in grado di proteggere al meglio contenuti fragili, come le bottiglie in vetro.
Immagine: m01229/Flickr [CC BY 2.0]
Nel corso dei decenni, il cartone fu usato negli imballaggi più disparati. Ad esempio, all’inizio del Novecento i Fratelli Kellogg utilizzarono il cartone per la confezione dei loro nuovi cereali. Curiosamente all’inizio il materiale protettivo in carta cerata, utile a mantenere la croccantezza del prodotto, era posto fuori dalla confezione in cartone, mentre con il tempo è diventato un sacchetto di plastica all’interno della scatola.
Negli anni Cinquanta poi un’altra importante invenzione rivoluzionò il modo di conservare gli alimenti: nel 1951 in Svezia viene presentato alla stampa il Tetrapak e subito attira l’attenzione del pubblico. Il nuovo tipo di confezionamento riesce a protegge gli alimenti senza usare conservanti o refrigerazione.
Immagine:17qq.com
Probabilmente una delle forme di packaging più antiche al mondo è la bottiglia di vetro. Si pensa che fosse già in uso in Asia nel I secolo avanti Cristo e nell’antico Impero Romano. Certo è che, prima della rivoluzione industriale, fabbricare una bottiglia di vetro richiedeva una forza lavoro così ampia che l’utilizzo pratico e comune della bottiglia rimase piuttosto raro.
Se la forma della bottiglia di vetro cambiò poco nel corso del tempo, ad evolversi furono le tecniche di produzione che, ancora oggi, permettono a questo tipo di packaging di essere molto diffuso!
A metà dell’Ottocento l’imprenditore tedesco Friedrich Siemens diede una svolta importante alla produzione automatizzata delle bottiglie in vetro inventando un particolare tipo di forno che permise di rendere continua la produzione del vetro (ed è una tecnologia usata ancora oggi). Grazie anche a quella invenzione, all’inizio del Novecento l’americano Michael J. Owens mise a punto una macchina automatica per la soffiatura delle bottiglie, che riusciva a produrre 2.500 bottiglie all’ora.
A metà del XX secolo poi, accanto alle bottiglie in vetro, comparve un altro tipo di bottiglia destinata a fare la storia del packaging: la bottiglia in plastica.
Sebbene la plastica fu inventata nell’Ottocento, le prime bottiglie nel nuovo materiale si diffusero commercialmente solo nel 1947. Le bottiglie in plastica avevano alcuni vantaggi rispetto a quelle in vetro: erano più leggere, avevano costi di produzione e di trasporto minori e soprattutto erano più resistenti. C’era però un problema: negli anni Cinquanta non sembravano ancora adatte alla conservazione delle bevande frizzanti (il problema principale erano lo scoppio della bottiglia o la perdita della gasatura).
A risolvere questo inconveniente arrivarono le bottiglie in PET (polietilene tereftalato), brevettate nel 1973 da Nathaniel Wyeth. Coca Cola iniziò a usarle nel formato da 2 litri, richiudibili, e diventarono un’icona degli anni Ottanta. Al tempo stesso però questo tipo di packaging mostrò chiaramente i suoi limiti dal punto di vista dell’impatto ambientale, diventando – soprattutto nell’ultimo decennio – uno dei simboli dell’inquinamento.
Per affrontare il problema si sono approntate soluzioni tecniche – come una sempre maggiore riciclabilità o l’uso materiali biodegradabili – o ci si è indirizzati verso altri tipi di packaging: come il ritorno al vetro o il nuovo packaging flessibile.
Arriviamo dunque al “nostro” packaging: il packaging flessibile, buste piatte e buste stand up realizzate combinando insieme strati estremamente sottili di diversi materiali – dalla carta all’alluminio alla plastica (lo abbiamo raccontato qui). L’idea è quella di sfruttare al massimo le potenzialità di ciascun materiale, riducendone al tempo stesso al minimo le quantità utilizzate, grazie alla tecnologia!
Se vogliamo trovare un antenato del packaging flessibile, potremmo citare l’uso della carta per avvolgere gli alimenti nell’antica Asia o la prima fabbrica di sacchetti di carta nata in Inghilterra a metà dell’Ottocento. Hanno a che fare con l’evoluzione del packaging flessibile anche l’invenzione del cellophane o i primi sacchetti in plastica degli anni Settanta.
Immagine: bakingbusiness.com
Effettivamente possiamo dire che non c’è una data di nascita del packaging flessibile: questo tipo di imballaggio è piuttosto la somma di continue innovazioni dal punto di vista della tecnica di produzione e dei materiali che hanno permesso di avere un packaging che usi sempre meno materie prime, meno energia e che protegga e conservi al meglio i prodotti.
Per questo, anche per ragioni di sostenibilità, il packaging flessibile è sempre più popolare e sta soppiantando altri tipi di confezioni, come abbiamo raccontato in “Marchi famosi che usano il packaging flessibile”.
Con in testa le sfide di una sempre migliore riciclabilità e riuso, e con una crescita stimata di oltre il 4% nel corso del 2022, potrebbe il packaging flessibile essere davvero il packaging del futuro?